La mancia non è un regalo. È dignità di sala.

Non è solo questione di soldi: la mancia obbligatoria è un tema di dignità, trasparenza e futuro per il lavoro di sala. Io sto con Piero.

VISIONE LATERALE

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Piero Pompili è uno dei più rinomati restaurant manager in Italia.
Le sue prese di posizione, che si condividano o meno, difficilmente passano inosservate.
La sua recente proposta di introdurre una mancia obbligatoria del 5% ne è la prova: molti l’hanno liquidata come una semplice provocazione, altri invece non smettono di vestire i panni di sterili screditatori seriali.

Io la considero, piuttosto, un invito a cambiare prospettiva. Perché qui non parliamo solo di soldi, ma di cultura, dignità e sostenibilità del lavoro nella ristorazione.

Certo, qualcuno dirà che “alla fine paga sempre il cliente”. Vero. Ma la domanda da farsi è un’altra: in che modo paga e con quale obiettivo? Perché che si tratti di una mancia obbligatoria o di un aumento dei prezzi deciso dal ristoratore, l’effetto sul conto finale non cambia. La differenza sta nella trasparenza e nella destinazione di quei soldi.

La proposta di Pompili significa dire apertamente che una parte del conto è destinata a chi lavora in sala e al bar: non un extra facoltativo, ma un riconoscimento esplicito del loro ruolo. E una percentuale fissa, regolata e trasparente, è anche un modo per evitare scorciatoie: impedisce che gli aumenti “per il personale” restino solo sulla carta e garantisce che il beneficio arrivi davvero a chi lavora.

Ed è qui che entra in gioco la flat tax sulle mance, introdotta nel 2023. Grazie a questa misura, oggi le mance possono essere inserite in busta paga con una tassazione agevolata e trasparente. È la base fiscale che rende la proposta non solo una suggestione, ma una possibilità concreta: trasformare un’abitudine incerta in una regola chiara e sostenibile.

Io sto con Piero.

Non perché la sua idea sia la soluzione definitiva a tutti i problemi del settore, ma perché rappresenta un passo coraggioso e culturale: riconoscere che senza dignità e prospettive, il mestiere di sala non ha futuro.

Se vogliamo riportare le nuove generazioni in sala e al bar, non basta promettere stipendi migliori. Dobbiamo offrire un contesto in cui il loro lavoro abbia valore, riconoscimento e prospettiva.

E allora sì, qualcuno continuerà a brontolare perché “paga il cliente”. Ma se questo piccolo contributo serve a ridare dignità a un mestiere e a rendere più sostenibile la ristorazione, io credo che sia un prezzo giusto da pagare.